CNAL - Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali
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Parole di fuoco, immagini smaglianti, gesti profetici

  Il compito fondamentale che don Tonino ci ha consegnato si può riassumere con una frase della Lampara: «Occorre spalancare la finestra del futuro, progettando insieme, osando insieme, sacrificandosi insieme. Da soli non si cammina più». In questa espressione, tre parole sono particolarmente significative: futuro, cammino, insieme. Dobbiamo nuovamente spalancare la finestra del futuro e tenerla […]
21 Dicembre 2017
 

 Il compito fondamentale che don Tonino ci ha consegnato si può riassumere con una frase della Lampara: «Occorre spalancare la finestra del futuro, progettando insieme, osando insieme, sacrificandosi insieme. Da soli non si cammina più». In questa espressione, tre parole sono particolarmente significative: futuro, cammino, insieme.

Dobbiamo nuovamente spalancare la finestra del futuro e tenerla aperta proprio mentre tutto sembra remare contro. C’è una tendenza a ricacciare ogni cosa in una sorta di nostalgia del passato. Il rimpianto e la rassegnazione dominano il tempo presente. Cerchiamo la sicurezza, guardando al passato. Il futuro sembra tanto incerto da infondere paura e angoscia. Da avere il carisma della promessa, ha assunto l’oscuro presagio della minaccia. Il principio speranza (Das Prinzip Hoffnung, E. Bloch) si è tramutato in un desiderio di sicurezza che, peraltro, appare sempre più vacillante.

Dobbiamo rimetterci in cammino e riprendere la marcia. Dobbiamo lasciare la posizione di stallo in cui ci ritroviamo, vincere la paralisi che smorza ogni decisione, superare il guado e, con rinnovato entusiasmo, riprendere a correre per le strade del mondo per annunciare a tutti la gioia del Vangelo. Ma dobbiamo farlo insieme, non da soli. Giustamente don Tonino afferma che «da soli non si cammina più». E se anche si cammina, si tratta di un percorso a ritroso. Vorremmo andare avanti, ma in realtà ci sembra più sicuro tornare indietro. Siamo ammalati di retrotopia[1].

L’incertezza si palesa in tutta la sua estensione. Il nostro tempo appare sempre più «un’età di sconvolgimenti e contrasti: una di quelle età in cui può accadere di tutto  - o quasi -, ma non si può mettere mano a nulla – o quasi – con la fiducia e la certezza di portare a termine l’impresa; una di quelle età in cui le cause inseguono gli effetti, e gli effetti cercano le proprie cause, ma trovarle è sempre più difficile, in pratica impossibile; un’età di mezzi apparentemente ben collaudati che dilapidano – o vedono esaurirsi – la propria utilità a ritmo accelerato, mentre la ricerca dei loro sostituti non va quasi  mai oltre la fase progettuale»[2].

Per contrasto, proprio questa situazione di smarrimento, rende attuale la prospettiva indicata da don Tonino. Oggi, più che mai, occorre perseguire un programma aperto al futuro e non fossilizzato sul presente, tantomeno nostalgico del passato; un progetto costruito insieme come frutto di un comune desiderio di andare oltre, di una disponibilità a sacrificare noi stessi per cercare l’unità di intenti con gli altri, non ripetendo il già fatto, ma creando nuovi cieli e nuova terra, disposti a dare il meglio di noi stessi, mettendo in gioco la nostra vita fino a donarla totalmente. «Noi – abitanti umani della Terra – siamo, come mai prima d’ora, in una situazione di aut aut: possiamo scegliere se prenderci per mano o finire in una fossa comune»[3].

Don Tonino non ha indicato solo il programma, ma ha suggerito anche il metodo. Esso consiste nel mantenere l’unità tra le parole, le immagini e i gesti. Per svegliarci dal sonno e dal colpevole letargo, occorrono, oggi più di ieri, parole di fuoco che sappiano riscaldare il cuore, immagini smaglianti che aprano orizzonti sempre più vasti, gesti profetici che rafforzino la consapevolezza di poter realizzare un’utopia concreta.

Nel nostro tempo siamo invasi dalle parole, dal rumore, dalle chiacchiere, al punto che l’inquinamento sonoro può ormai essere annoverato tra i problemi ecologici. Le parole, ritenute fino a poco tempo fa come pietre (Carlo Levi), oggi sembrano volteggiare leggere come piuma quasi fossero diventate palloncini colorati, dietro le quali non c’è più un pensiero, un’idea, un progetto. Le parole sembrano aver perso il loro peso specifico e somigliano sempre più a un aquilone in mano un bambino che, all’improvviso, vola via e lascia tutti con il naso all’insù per vederlo allontanarsi in cielo come un puntino colorato.

Don Tonino, invece, sapeva bene che il potere della parola è immenso. Dio stesso si è fatto Parola. Essa è fonte di bellezza, di poesia, di creazione, di amore, di vita, di nutrimento e di seduzione per l’anima. Essa ha il potere di creare e distruggere. A somiglianza di quella divina, la parola umana ha una forza travolgente. È una sorta di magia e di incantesimo dal duplice effetto. Quando è vera può cambiare il mondo, se è insincera può distruggerlo. Può rendere felice o spingere alla disperazione; trasmettere la verità o occultare il senso delle cose; attrarre o determinare giudizi e decisioni negative; suscitare affetti o esercitare una cattiva influenza. Come ogni altra cosa di questo mondo, c’è un lato oscuro che opprime la parola, la schiaccia e la strangola. Così essa si deteriora fino a mentire e a sedurre, aggredire e insultare, ferire e distruggere. Può anche essere solo un flatus vocis, un puro suono incapace di comunicare un messaggio o un sentimento. 

Per essere efficace, la parola deve evocare un’immagine. Il linguaggio di Cristo è pieno di immagini prese dalla vita quotidiana. Sotto questo profilo, don Tonino è stato un maestro impareggiabile. Lo stesso Papa Francesco mette in risalto che «uno degli sforzi più necessari è imparare ad usare immagini nella predicazione, vale a dire a parlare con immagini. A volte si utilizzano esempi per rendere più comprensibile qualcosa che si intende spiegare, però quegli esempi spesso si rivolgono solo al ragionamento; le immagini, invece, aiutano ad apprezzare ed accettare il messaggio che si vuole trasmettere. Un’immagine attraente fa sì che il messaggio venga sentito come qualcosa di familiare, vicino, possibile, legato alla propria vita. Un’immagine ben riuscita può portare a gustare il messaggio che si desidera trasmettere, risveglia un desiderio e motiva la volontà nella direzione del Vangelo. Una buona omelia, come mi diceva un vecchio maestro, deve contenere “un’idea, un sentimento, un’immagine”»[4].

Da sole, però, le parole e le immagini sono insufficienti. Richiedono la concretezza dei gesti. Questi hanno una potenza evocatrice e riportano i discorsi alla concretezza dei fatti. La rivelazione si realizza con «eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto» (Dei Verbum I,2). L’espressione verbis gestisque è riproposta da don Tonino con lo slogan  «il potere dei segni». Chi, invece, non agisce in accordo con le parole che pronuncia somiglia a un fiore bello e colorato, ma senza fragranza e senza profumo o sembra uno smemorato che presto dimentica il suo vero volto (cfr. Giac 1,23-24). Secondo l’immagine evangelica, egli si comporta come uno stolto che costruisce la sua casa sulla sabbia. Senza solide fondamenta, essa crolla di fronte alle intemperie del vento e della pioggia (cfr. Mt 7,26-27).

Tenere insieme, in un inscindibile legame, parola, immagine e gesti è stato uno degli aspetti più geniali del magistero di don Tonino. Egli stesso ha messo in guardia dal cadere nella retorica e nella mancanza di aderenza alla realtà. In quel caso, «la parola si sfarina in un turbine di suoni senza senso. Si sfalda in mille squame di accenti disperati. Si fa voce, ma senza farsi mai carne. Ci riempie la bocca, ma lascia vuoto il grembo. Ci dà l'illusione della comunione, ma non raggiunge neppure la dignità del soliloquio. E anche dopo che ne abbiamo pronunciate tante, perfino con eleganza e a getto continuo, ci lascia nella pena di una indicibile aridità: come i mascheroni di certe fontane che non danno più acqua e sul cui volto è rimasta soltanto la contrazione del ghigno»[5].

Tenendo insieme parola, immagine e gesto, possiamo riassumere il suo messaggio intorno a quattro temi. Il primo è quello espresso dalla parola “servizio”, l’immagine è quella del grembiule, e tra i diversi gesti si può richiamare l’istituzione della C.A.S.A. Il secondo tema verte intorno alla parola dialogo, l’immagine che lo rappresenta è la lampara, i gesti sono i colloqui con gli ultimi e i poveri (Gennaro l’ubriaco, Massimo, fratello ladro, Giuseppe avanzo di galera, Mario, guardia campestre…). Il terzo tema è quello della convivialità, simboleggiato dall’immagine dell’ala di riserva, e reso concreto dalla marcia a Sarajevo. Il quarto tema è quello della pace, raffigurato dall’arcobaleno e dall’impegno come Presidente di Pax Christi. È forse un caso che ogni tema si riassuma nella figura della Madonna? Non è Maria la personificazione e il tipo del cristiano? Perciò don Tonino ci ha insegnato a invocarla come donna di servizio, donna senza retorica, donna conviviale, donna del primo passo.

Ma non illudiamoci, cari fratelli e sorelle. Non saranno queste nostre riflessioni e la celebrazione delle ricorrenze giubilari a far risaltare la grandezza della figura di don Tonino. Non pensiamo di mettere in pace la nostra coscienza solo perché ricordiamo le sue parole e i suoi gesti dal forte impatto emotivo. Il banco di prova del nostro amore e della fedeltà a quanto don Tonino ci ha trasmesso risiede nell’imitare il suo stile e non solo nel ripetere le sue parole e nel ricordare quello che lui ha compiuto. A noi, non è consentito parlare in modo ripetitivo e stanco. Occorre creatività nelle parole, aderenza alla realtà, forza evocativa, impegni concreti. Se non vogliamo riproporre un nuovo “tradimento dei chierici” dobbiamo anche noi, come lui, senza soluzione di continuità proclamare parole di fuoco, evocare immagini smaglianti, compiere gesti profetici. 

 

+Vito Angiuli

Vescovo di Ugento – Santa Maria di Leuca

 

Omelia pronunciata il 25 novembre 2017 nella Cattedrale di Molfetta in occasione



* Omelia nella Messa per il 35° di ingresso di don Tonino Bello nella diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi,   Cattedrale, Molfetta 25 novembre 2017.

[1] Z. Bauman, Retrotopia, Laterza, Bari-Roma 2017.

[2] Ivi, p. 154.

[3] Ivi, p. 168.

[4] Francesco, Evangelii gaudium, 157.

[5] A. Bello, Maria donna senza retorica, in Id. Scritti mariani, Molfetta 2005, pp. 17-18.