«Celebrare per incontrare» è il motto che, come Movimento dei Focolari, abbiamo scelto per ricordare nel 2020, in tutto il mondo, i 100 anni dalla nascita della nostra fondatrice Chiara Lubich. Fino a poche settimane fa questo motto ci sembrava una scelta azzeccata per celebrare, nelle modalità più varie, la persona della nostra fondatrice e il carisma che Dio le ha donato e che lei ha trasmesso generosamente. Desideriamo infatti che le persone la incontrino viva oggi e non la evochino come un ricordo nostalgico; che la ritrovino nella sua spiritualità, nelle sue opere e soprattutto nel suo “popolo”, cioè in quanti vivono nel presente il suo spirito di fraternità, di comunione, di unità.
E a partire dal 7 dicembre 2019 abbiamo gioito per i tantissimi eventi che si sono svolti in tutto il mondo.
Avremmo voluto che la festa continuasse. Ma in poco tempo lo scenario è cambiato e il motto «celebrare per incontrare» rischia di apparire anacronistico: anche noi abbiamo sospeso ogni tipo di celebrazione o evento. La pandemia causata dal coronavirus sta costringendo sempre più Paesi su tutto il pianeta a misure drastiche per rallentarne il contagio: l’isolamento e la lontananza fisica sono per ora gli strumenti più efficaci. Lo dimostrano i segnali che ci stanno arrivando dalla Cina, che per settimane abbiamo accompagnato con trepidazione. Ma qui in Italia e in diversi altri Paesi del mondo la situazione è ancora molto seria.
Per molti di noi che viviamo in isolamento è un’esperienza totalmente nuova. Essa non ha solo una dimensione sociale o psicologica, ma anche una forte ripercussione spirituale. Ciò vale per tutti e in modo particolare per i cristiani. Una situazione che tocca anche nell’intimo la nostra specifica spiritualità come Focolari. Noi siamo fatti per la comunione e l’unità. Saper creare rapporti è forse la qualità più caratteristica di una persona che ha conosciuto e accolto lo spirito di Chiara. E proprio questa dimensione ora sembrerebbe limitata al massimo.
Ma l’amore non si lascia limitare. È questa la grande esperienza che si sta facendo in questi giorni drammatici e dolorosi. Più che mai e da ogni dove mi arrivano testimonianze di persone che mettono in moto la creatività e la fantasia, e che sono in donazione verso gli altri anche in condizioni difficili e insolite: bambini che raccontano i piccoli-grandi atti di amore per superare le difficoltà del dover restare a casa; ragazzi che si mettono in rete per creare una staffetta di preghiera; imprenditori che vanno controcorrente per non approfittare dell’emergenza, ma anzi mettersi al servizio del bene comune anche a scapito del guadagno personale. Sono molti i modi con i quali si cerca di offrire sostegno e conforto: con la preghiera prima di tutto; con una telefonata, un messaggio WhatsApp, una mail..., perché nessuno si senta solo, quelli che sono a casa, ma anche gli ammalati e quanti si prodigano per curare, consolare, accompagnare coloro che subiscono le conseguenze di questa situazione. E poi ci sono messaggi di solidarietà che ci aiutano a spalancare il cuore anche oltre l’emergenza coronavirus, come quello dei giovani in Siria che, nonostante le loro drammatiche condizioni, trovano la forza di pensare a noi in Italia. Sono i giovani a insegnarci che queste esperienze condivise sui social media si possono moltiplicare, perché anche il bene può essere contagioso.
Attraverso queste testimonianze è maturata in me una convinzione: il centenario di Chiara Lubich non è sospeso e il motto «Celebrare per incontrare» è più attuale che mai.
È il nostro Padre nel cielo però, o forse anche la stessa Chiara, che ci invita a vivere questo anno giubilare in una maniera più profonda e più autentica. Al di là dei condizionamenti, anche nell’impossibilità di celebrare insieme l’eucaristia, stiamo riscoprendo la presenza di Gesù, viva e forte nel Vangelo vissuto, nel fratello che amiamo e in mezzo a quanti — anche a distanza — sono uniti nel suo nome.
Ma in modo particolare la nostra fondatrice ci fa riscoprire il suo grande amore, il suo sposo: Gesù Abbandonato — «il Dio di Chiara», come ama definirlo monsignor Lauro Tisi, l’arcivescovo di Trento. È il Dio che è andato al limite, per accogliere in sé ogni esperienza limite e darle valore. È il Dio che si è fatto periferia per farci capire che anche nella più estrema esperienza possiamo ancora incontrare Lui. È il Dio che ha fatto sua ogni sorta di dolore, di angoscia, di disperazione, di malinconia, per insegnarci che il dolore accettato e trasformato in amore è fonte inesauribile di speranza e di vita.
Ecco la sfida di questa emergenza planetaria: non sfuggire, non cercare soltanto di sopravvivere per arrivare sani e salvi al traguardo, ma radicarci bene nel presente, guardando, accettando e affrontando ogni situazione dolorosa — personale o di altri — per farne un luogo di incontro con “Gesù Abbandonato” e trovare, nell’amore per Lui, la forza e la creatività di costruire rapporti di fraternità e di amore anche in questa difficile situazione.
Per Chiara ogni incontro con “lo Sposo”, con Gesù Abbandonato, era festa, era celebrazione. Incontrando Lui — ne sono convinta —, incontreremo anche lei perché impareremo, come ha cercato di fare lei, a guardare ogni situazione con gli occhi di Dio. Forse anche noi potremo ripetere l’esperienza di Chiara e delle sue compagne, che non si erano “quasi” accorte né della guerra né della sua fine, perché, prese da Dio e dal suo amore, sentivano che la realtà che vivevano, l’amore concreto che circolava tra loro e con tanti nella loro città, era più forte di tutto.
Non sappiamo quanto durerà questa emergenza: saranno forse settimane o mesi. Comunque passeranno. Il mondo che troveremo alla fine del tunnel, lo stiamo costruendo adesso.