H. Blumemberg delinea la situazione attuale di incertezza e di instabilità dell’esistenza con l’immagine del naufragio con spettatore. T. Torodov utilizza la figura dello spaesamento per indicare il ripiegamento dell’uomo su di sé, sulla propria esistenza individuale, sul proprio corpo, sui propri bisogni. Z. Bauman ha più volte richiamato la categoria della liquidità per indicare la condizione personale e sociale senza un fondamento stabile. C. Lasch ha avanzato l’idea dell’identità personale come un io minimo ossia come una micro-identità funzionale alle difficoltà del presente e alla perpetuazione del sistema con una disposizione a concentrarsi sul fruibile e sull’utile senza il richiamo al solido fondamento del vissuto, alla memoria e alle radici di quanto già sperimentato.
Anche sul piano economico e sociale si deve constatare una molteplice serie di problemi: il disordine globale, la crisi economica, la crescente povertà, il calo demografico, il terrorismo, la tumultuosa crescita dell'Asia, le guerre nascoste dell’Africa, l'interconnessione crescente delle informazioni e dei trasporti, la crescita delle migrazioni, la sfida climatica.
Questi problemi mondiali non possono essere risolti da soli e in ordine sparso. «Gli estremisti - ha affermato Ban Ki-moon, già segretario generale dell'Onu, in un’intervista al Corriere della Sera - ci obbligano a decidere da quale parte stare usando la dicotomia “noi contro loro”». Al contrario, si richiede un nuovo ordine mondiale. Questo sarà possibile se ci sarà un cambio di mentalità.
Sotto questo profilo è utile riflettere sul discorso pronunciato da Z. Bauman ad Assisi, durante l'incontro internazionale per i 30 anni del primo incontro tra le religioni. Queste le sue parole: «La storia dell'umanità può essere riassunta in molti modi, uno dei quali è la progressiva espansione del pronome “noi”». Un “noi” che si è contrapposto per secoli agli “altri”, a un “loro”. Oggi - concludeva il sociologo - «ci troviamo di fronte alla necessità ineludibile di una nuova tappa di questa espansione, di un salto verso l'abolizione del pronome “loro”. Viviamo in una realtà cosmopolita, che cerchiamo di gestire con mezzi sviluppati da antenati che si muovevano su territori limitati, e questa è una trappola! Siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri e non si può tornare indietro. C'è bisogno di promuovere una cultura del dialogo, di una vera e propria rivoluzione culturale».
Anche Papa Francesco, l'anno scorso a Sarajevo, incontrando i giovani ha detto: «Voi siete la prima generazione dopo la guerra. Fiori di primavera che vogliono andare avanti e non tornare a quel che ci rende nemici gli uni gli altri. Voi non volete essere nemici l'uno dell'altro. Volete camminare insieme, come ha detto Nadežda. E questo è grande! Non siamo 'loro e io', siamo 'noi'. Vogliamo essere un 'noi', per non distruggere la patria, per non distruggere il Paese. Tu sei musulmano, tu sei ebreo, tu sei ortodosso, tu sei cattolico… ma siamo 'noi'. Questo è fare la pace! Una vocazione grande: mai costruire muri, soltanto ponti».
La Chiesa e in essa i laici cristiani devono essere “segno e strumento” di unità di tutto il genere umano (cfr. Lumen gentium 1). Si tratta di vivere l’unità nella persona, l’unità nelle singole associazioni, l’unità tra le associazioni, l’unità tra le associazioni e l’intero popolo di Dio, l’unità tra la Chiesa e il mondo, sulla base di una spiritualità comune tra tutti i membri del popolo di Dio, non più attraversata da individualismo e frammentazione, da protagonismo e clericalismo. Per il cristiano, infatti, «non c'è giudeo né greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).